Ricerca di senso 2005-3

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Editoriale

Approfondendo le relazioni interpersonali, i comportamenti e le motivazioni, oltre che le si-tuazioni di sofferenza, la psicologia presenta un notevole pluralismo di orientamenti teorici, cui si collegano altrettanti metodi di intervento terapeutico. Due, comunque, sono gli elementi che posso-no accomunare le varie scuole di pensiero: la concezione dell’esistenza come «processo» e la con-cezione dell’esistenza come «relazione». Il concetto di processo implica l’attenzione alle situazioni in cui l’essere umano si sviluppa e si realizza come persona, nella sua varietà di ruoli e di compe-tenze utili a partecipare alla vita degli altri. Il concetto di relazione richiama, invece, la fondamenta-le dimensione intersoggettiva e comunitaria dell’esistenza e l’incontro necessario, sia pure non indi-spensabile, che si attua tra terapeuta e cliente, quando si intende rimettere in moto il processo vitale che risulta bloccato per interventi e pressioni di natura psichica o sociale.

La prospettiva dell’esistenza come «processo» rimanda all’iniziatore indiscusso della psico-analisi, Sigmund Freud, che ha unito a una dottrina complessa e con continue evoluzioni un metodo di intervento etichettabile come riduttivo-interpretativo. La riduzione deriva dal mettere in correla-zione, in forma deterministica, i sintomi con i conflitti inconsci che li hanno generati, riportando successivamente la loro origine a situazioni infantili non superate. L’interpretazione è l’attribuzione di un particolare significato agli elementi che il soggetto offre nelle varie sedute esplorando il suo inconscio, basandosi su specifici assunti teorici.

Ben diverso è l’assunto di base delle terapie corporee, che considerano l’organismo umano come realtà psico-corporea integrata, per cui gli eventi psichici si manifestano anche a livello fisico attraverso tensioni muscolari. E lo stesso va detto per il modello comportamentista, secondo il quale il comportamento e l’apprendimento umano sono determinati da specifici stimoli ambientali osser-vabili, come pure per la prospettiva costruttivista, che è forse il tipo di orientamento cognitivista che sta prendendo maggior piede negli ultimi tempi, che ha come meta la ristrutturazione dei processi individuali di conoscenza di sé e del mondo, attraverso un pieno riconoscimento di paradossi e di contraddizioni presenti nei sentimenti e nei pensieri e ciò attraverso un’intensa relazione terapeuti-ca.

La concezione della persona come «relazione» fa riferimento a orientamenti psicologici che, affondando le radici nell’orizzonte antropologico di Sören Kierkegaard, Friedrich W. Nietzsche, Martin Heidegger, Jean-Paul Sartre e Martin Buber, riconoscono il ruolo centrale dei significati per-sonali dei quali l’individuo ricopre il mondo e assegnano un valore alle esperienze immediate e al modo con cui ogni persona sperimenta il suo esistere e il suo essere-nel-mondo attraverso soprattut-to le relazioni con l’altro. Aspetti comuni a tutti gli approcci esistenziali sono: la coscienza di sé e l’autoconsapevolezza come tratti distintivi dell’uomo rispetto agli animali; la considerazione della vita umana come fatta di scelte consapevoli e delle quali la persona si assume la responsabilità; la dipendenza dell’uomo dalle relazioni con gli altri; la consapevolezza della morte, come unico fatto assoluto della vita, come condizione di base per dare senso alla vita. Iniziatori dell’esistenzialismo in campo psicoterapeutico furono, in Europa, Ludwig Binswanger con l’antropoanalisi o Daseinsa-nalyse e Medard Boss con la psicoanalisi esistenziale. Unico esponente statunitense dell’approccio esistenziale è Rollo May.

Probabilmente è Viktor E. Frankl, con la sua logoterapia, l’esponente più influente di questo approccio. Com’è noto, con la parola logos Frankl intende sia «senso» che «spirito», per indicare il margine di libertà e di responsabilità dell’uomo, in antitesi al determinismo di stampo psicoanaliti-co. Da tale quadro antropologico scaturisce una visione specifica delle nevrosi dette «noogene», in quanto collegate alla «frustrazione esistenziale», cioè all’impossibilità di scoprire e di vivere il sen-so della propria vita. Il metodo logoterapeutico fa esplicito appello alla spiritualità, affrontando temi etico-filosofici allo scopo di rendere consapevole e responsabile l’uomo nell’ambito del suo margi-ne di libertà. Importante precisazione all’interno della logoterapia è anche l’assunzione, accanto al lavoro e all’amore, della sofferenza come possibile portatrice di senso.
Si comprende facilmente, a questo punto, che la psicologia umanistico-esistenziale non è né può essere neutrale nella relazione e nei valori in essa presenti. La trasmissione di valori è inevitabi-le. Ogni psicologo intreccia i propri valori con quelli sottostanti l’attività che esercita, a loro volta intrecciati con i valori del cliente. Appare, allora, necessario che egli sia sempre consapevole dei suoi valori e ciò è possibile sulla base della visione dell’uomo che, consapevolmente o meno, porta dentro di sé e che ogni teoria, implicitamente o esplicitamente, trasmette.

Il comportamentismo, ad esempio, descrive l’uomo come un organismo che, ricercando la sicurezza e il benessere, reagisce alle pressioni dell’ambiente o dei bisogni, cercando di ridurle. E in tale ottica utilizza ben volentieri l’analogia dell’uomo con la macchina.

In ambito cognitivista è l’analogia con il computer che viene ampiamente usata per spiegare i processi mentali dell’uomo, considerato un solutore di problemi e un costruttore di teorie, anche se la dimensione intenzionale dei processi di conoscenza personale sembra propria di una soggettività cosciente, ma sempre in una cornice razionalistica.
In un modo o nell’altro, l’uomo viene considerato solo per il suo valore funzionale e la sua caratteristica di essere portatore di un potere operativo, senza far entrare in gioco categorie come li-bertà, valore, etica; anzi, dimostrando un certo disinteresse nei loro confronti, considerandoli fuori dall’orizzonte scientifico.

In antitesi si pone il filone umanistico-esistenziale che, parlando di ideale di uomo, si ri-chiama sempre al valore, al senso, alla responsabilità. Per Frankl, ad esempio, l’uomo è un essere fondamentalmente orientato verso qualcosa o qualcuno che lo trascende. Centrale è, dunque, l’impegno a rendere l’uomo conscio di tutte le sue umane possibilità, persuaso che la vita ha sempre senso, anche di fronte alla sofferenza e alla disperazione, quando tutto sembra fallito, convinto che la propria esistenza è animata da un’inalienabile libertà. L’uomo, in tale prospettiva, è essenzial-mente buono e preme per la scoperta e la realizzazione di un compito personale, la cui conseguenza non intesa ma donata è l’autorealizzazione e l’attualizzazione di tutte le sue capacità.

Diventando, in tal modo, esperienze desiderabili tutte quelle che ne svelano l’autenticità, compresi il dolore, la sofferenza e la rinuncia, viene affermata una visione comprensiva e olistica dell’uomo, inteso come un soggetto libero e responsabile, che tende all’autenticità e alla realizza-zione di valori e di compiti esistenziali.
In tale prospettiva è fondamentale il richiamo al senso e all’unicità irripetibile della propria esistenza, che può ben essere sintetizzata nelle tre domande con cui il rabbino Hillel si rivolgeva ai suoi allievi per comprendere in che misura avevano compreso il suo insegnamento: «Se non lo fac-cio io, chi lo farà? Se non lo faccio adesso, quando lo farò? Se lo faccio solo per me stesso, chi sono io?». E ritorna attuale il messaggio di Kierkegaard quando ricorda che «la porta della felicità si apre verso l’esterno e chi tenta di aprirla verso l’interno non fa altro che chiuderla sempre di più».

Psicologia umanistico-esistenziale e filosofia personalistico-comunitaria sembrano allora avere tutti gli elementi per procedere insieme, tutto a vantaggio della persona, della sua radicale a-pertura al trascendente, del suo impegno a portare a compimento il compito che le viene affidato con decisione, libertà e responsabilità.
Eugenio Fizzotti

Approfondimenti

La domanda di senso in psicoterapia.
Al di là delle barriere del riduzionismo psicologistico

Viktor E. Frankl
Nel 1977 Frankl, nel corso di tre lezioni tenute nell’ambito delle «Salzburger Hochschulwochen», affrontò con stile scorrevole e coinvolgente la classica tematica della domanda di senso come sfida psicoterapeutica, riportando dati interessanti di allievi e ricercatori a conferma delle sue intuizioni. Il testo è stato pubblicato nel volume Die Sinnfrage in der Psychotherapie (München, Piper 1981, pp. 21-76). Con traduzione di Daniele Bruzzone viene qui edita la prima lezione (pp. 22-41). Eugenio Fizzotti ha rivisto il testo e ha curato l’aspetto metodologico, completando anche i riferimenti bibliografici, laddove è stato possibile.

Carissima Stella… tuo Viktor.
Profilo psicologico di Frankl in alcune lettere inedite del dopo-guerra

Eugenio Fizzotti
(Università Salesiana, Roma)
L’impresa editoriale di pubblicare l’Opera omnia di Frankl in tedesco consente di accedere anche all’immenso materiale inedito che, conservato nell’Archivio personale, evidenzia la ricchezza di relazioni che il padre della logoterapia ha avuto con personaggi della cultura e della scienza, ma anche con persone semplici che, dopo la lettura dei suoi libri, lo contattavano sia per ringraziarlo e sia per chiedergli consulenze e suggerimenti per la gestione del disagio psicologico in cui si trovavano. Le lettere pubblicate nel primo volume, e inviate ad antichi amici e maestri oltre che alla sorella emigrata in Australia, delineano un interessante e imprevedibile profilo di Frankl nell’immediato dopoguerra.

Il concetto di «spirito» nel pensiero di
Uwe Böschemeyer.
Sviluppi contemporanei del pensiero frankliano

Grzegorz Wierzba
(Psicologo, New York)
Additare nuovi orizzonti di riflessione e di applicazione clinica costituisce una delle caratteristiche del sistema logoterapeutico di Frankl. Ciò non toglie che permanga il rischio di confusioni e di ambiguità, soprattutto quando si sovrappongono i piani e non si parte dalle medesime premesse di natura antropologica. Lo studio analizza il concetto di «spirito», con le implicanze a esso connesse, secondo Uwe Böschemeyer, uno psicologo tedesco, allievo di Frankl, che è andato oltre il pensiero del suo maestro e ha elaborato un’interpretazione nella quale hanno piuttosto il sopravvento elementi desunti da visioni riduzioniste e psicologistiche.

Il limite e la pace.
Ambivalenza del benessere e nuovi paradigmi di speranza

Massimo Salustri
(Psicologo, Roma)
Alle prese da sempre con il problema della vita e della morte, e spinto da un’ansia d’eternità, l’uomo ha cercato soluzioni capaci di dilatare le proprie possibilità di vita. La realtà però ci dice che il valore e il senso vengono decisi dai potenti della terra, mentre popoli e paesi subiscono un’intollerabile svalutazione della propria dignità umana che, alle lunghe, provoca risentimenti, rancori e sete di vendetta. Poiché non si può trattare il fenomeno, certamente destabilizzante, del terrorismo come se fosse una variabile indipendente nel sistema delle relazioni tra i popoli e le nazioni, è necessario superare la visione antropocentrica che domina da millenni e riuscire a vedere che l’uomo è solo una delle infinite entità dell’universo che vive con il resto in una condizione di assoluta parità. A questo punto si aprirebbero paesaggi inesplorati.

Esperienze

Un manager alla ricerca della felicità.
Da amministratore di grandi aziende a «esploratore» dell’uomo

Gianni Pasquarelli
(giornalista, ex direttore generale RAI)
Gianni Pasquarelli è stato direttore generale della RAI e amministratore delegato della Società Autostrade, cioè quello che si dice un top manager. E forse proprio alla luce di questa esperienza ha voluto indagare sulle cose che contano davvero per l’uomo: la felicità e la sofferenza, l’amore e l’ambizione, il desiderio e il dolore, consapevole che «molte sfide vengono da fuori, ma molti problemi nascono dentro, nell’intimo di ciascuno di noi». I testi, tratti da I naturali sentieri alla tranquillità (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 142), sono pubblicati con gentile concessione dell’autore e dell’editore.

Ascoltare i propri figli. Un’esperienza di training rivolta alle coppie di genitori/3
Quinto e Sesto incontro: Ascolto come educazione emotiva

Domenico Bellantoni
(Psicologo e psicoterapeuta, Napoli)
È centrale nell’approccio di Frankl, in ambito sia clinico che pedagogico, l’attenzione al valore della persona, di ogni persona, in virtù della sua unicità e irripetibilità. L’atteggiamento di ascol-to, inteso come intenzionalità di comprensione dell’altro, appare in questo senso fondamentale per cogliere la persona nella sua esperienza individuale: un genitore che voglia incontrare davvero la peculiarità dell’esperienza del proprio figlio, allora, non potrà fare a meno di accogliere il suo mondo emotivo e i suoi significati personali.

Asterischi

di Vincenzo Andraous
(Comunità «Casa del Giovane», Pavia)
Nato a Catania il 28 ottobre 1954, detenuto nel carcere di Pavia e condannato all’ergastolo «fine pena mai», Vincenzo Andraous usufruisce di permessi premio e lavoro esterno e, in regime di semilibertà, svolge attività di tutor-educatore presso la Comunità «Casa del Giovane» di Pavia. Per anni è stato uno degli ani-matori del Collettivo Verde del carcere di Voghera, impegnato in attività sociali e culturali con le televisioni pubbliche e private, con Enti, Scuole, Parrocchie, Università, Associazioni e Movimenti culturali.

Come pugni nello stomaco
Durante la Santa Messa il sacerdote ha esordito nella sua omelia puntando il dito verso coloro che sono artisti delle parole, di quelle parole che, una sull’altra, sottoscrivono l’epitaffio dell’alleanza umana.
Il sacerdote per un momento ha dimenticato Dio sull’altare, lo ha fatto consapevole di dover strattonare forte chi con leggerezza esprime giudizi sulle persone, sentenzia e condanna, neppure conoscendone la storia personale, il vissuto, il dolore e magari le assenze.
Sono rimasto ad ascoltare, mi sono guardato intorno e, seppure tra tante altre persone, mi sono sentito solo, rannicchiato in me stesso, a domandarmi quante volte anch’io ho timbrato il pas-saporto della solitudine altrui.
Quel prete per un istante ha lasciato Dio ad ascoltare, lo ha fatto per chiamarci più vicino, mentre noi ce ne stiamo inginocchiati a pregare, inconsapevoli di quel Dio ora abbarbicato in un angolo a osservare.
Intorno a me non c’è sbigottimento, ogni cosa è al suo posto, tutto è nell’ordine delle cose, perché non ci tocca da vicino; infatti, Dio è stato messo momentaneamente all’asta, non certo a causa nostra, ma per qualcun altro… a cui è diretto lo strale.
Forse quel prete esagera, è andato oltre il cristallo opaco delle intenzioni, forse è davvero così, ma in quella negazione all’onestà intellettuale, alla tolleranza umana, all’amore che è vita perché «siamo insieme», Dio sta agli altri, come in questa casa del Crocifisso, appeso nudo alle parole di ieri che dovrebbero insegnare.
Quelle tante e troppe parole che servono sovente per autoaffermarci a scapito di chi sta dietro.
Quelle parole che non hanno fede né ideologie, come eredità contrapposte, bensì indifferenza per ogni ascolto della ragione e del cuore, per privilegiare noi stessi in avanti a prenderci i primi posti.
Il prete guarda davanti a sé, senza cattedra a intimorire, negli occhi il dubbio di avere colpito nel segno.
Nella sua fatica c’è il suo coraggio, mentre il silenzio invade ogni spazio e inibisce al fondo di ogni ottusità.
A volte essere o cambiare è davvero un lento percorso a ritroso, disturbante al punto che il tempo accelera e rallenta: noi ce ne accorgiamo, ma non siamo onesti fino in fondo per ammettere che l’universo che tentiamo di vivere è di tante dimensioni, e noi non ne sappiamo niente, neanche del nostro vicino, che invece crocifiggiamo per diletto.
Quel prete ci sta dicendo che siamo tutti uomini in cammino, con i nostri dubbi al seguito, bisognosi di essere compresi tanto da prostituirci alle parole, quelle parole che assecondano ogni i-stanza di ringraziamento, e fanno sì che Dio c’è, ma se accade che la sofferenza di una rinuncia o di un sacrificio ci sfiora le membra, allora quel Dio amato diventa un pezzo di legno tarlato dalle nostre stesse parole.
Rileggo queste righe e dentro di esse vedo la storia a tappe di una ben nota Via Crucis, ma è talmente lontana dalla memoria da sembrare una normale tragedia, la quale non spinge ad alcun ri-morso, neppure quando additiamo un uomo forse migliore di noi.

Disvalori dell’indifferenza

A Milano, ma potrebbe tranquillamente accadere domani in un’altra città, oltre a chiudere le porte dei centri pubblici di accoglienza, sbarreranno i portoni pure ai mezzanini, così i luoghi del dolore metteranno radici nei dormitori privati, che per disincanto e indifferenza si tramuteranno nei soliti lazzaretti disidratati.
Ma tanto stiamo parlando di clochard, di barboni, di imperfezioni umane, di rimasugli che stanno ai bordi, ben emarginati, per cui quale peso e quale carico potrà mai sgomitare la nostra co-scienza così ben addestrata?
Tante cose accadono, altre meno, come questa di chiudere ciò che non è possibile scacciare lontano, perché comunque ne avverti la presenza così vicina, così prossima da costituire un’appartenenza persino nel dolore, nella tristezza, nella solitudine, nel baccano che fa male.
Quanta umanità derelitta deve ancora inondarci per la nostra incapacità a spenderci davvero in idee e ideali per una società che se non possiamo reinventare quanto meno abbiamo il dovere-diritto di migliorare e liberare dalle sue periferie esistenziali colpevolmente disabitate?
È vero, uomini e donne lacerati e soli non moriranno più di freddo, rimarranno in attesa di qualcosa, di qualcuno, che tarda a venire, per aggirare la trappola di questa postmodernità, che solitamente osserva il disagio delle generazioni giovani, ma che invece è solo un aspetto del disadattamento che viviamo tutti, e che potrà trovare soluzione all’interno di un vero e proprio ripensamento culturale.
Quante volte è stato ribadito che nessuna persona è isolata, un atomo vagante in un ambiente vuoto o neutro?
Quante volte queste note ci sono scivolate dentro, come sinuosità del più astuto messaggio subliminale?
Sì, sono tante cose che magari non fanno una, oppure per mille altre, una cosa dopo l’altra, una sopra l’altra, una sotto l’altra, come a voler celare che le relazioni e i rapporti implicano reci-procità, inducono ad azioni corrispondenti.
Chissà, forse sono questi gli indubbi vantaggi del progresso, inseriti a piene mani come «valori»: indifferenza e profitto, a dispetto dei valori come solidarietà e giustizia che rimangono simboli altisonanti in vuote parole, mentre nei fatti conta il resto, che è appunto assai di più.
Inutile nasconderlo: questa eredità è fardello di tutti e non è possibile pensare di limitarne il sopracarico, scaricandone responsabilità e fatiche sugli spazi esistenti dei pochi privati, di per sé già inchiodati su quella linea di confine.