Editoriale
Le normali tecniche terapeutiche come le operazioni, le medicazioni, le radiografie e le irradiazioni agiscono sul piano biologico; le usuali tecniche psicologiche, quali la psicoanalisi, la terapia comportamentista, la terapia gestaltica, ecc. agiscono sul piano psicologico. Quale metodo si prende a cuore la dimensione spirituale?
Da tanti secoli questa sfera è stata lasciata sotto l’influenza della religione; ma oggi tale influsso è quanto mai ridotto e l’uomo medio della nostra società del benessere è sempre più vittima di quel vuoto interiore che Viktor E. Frankl ha chiamato «vuoto esistenziale».
A lungo andare il tenore di vita e il conto in banca non possono nascondere una carenza di contenuti spirituali; i valori tradizionali, che vanno in frantumi, non possono essere reincollati e la filosofia della vita del nostro tempo, plasmata da due guerre mondiali, dà ben poca sicurezza. Ecco allora emergere prepotente la validità di quel nuovo metodo di psicoterapia, chiamato fortunosamente da Frankl «logoterapia», che cerca di rendere giustizia, almeno approssimativamente, al pluralismo della persona, abbracciandola in tutte le sue dimensioni, compresa appunto quella spirituale.
Sono due, in tale prospettiva, i punti di vantaggio del pensiero logoterapeutico su tutte le difficoltà presenti nell’orizzonte psicologico e psicoterapeutico contemporaneo: in prima istanza «tiene conto di tutto l’uomo», e per quanto possibile considera ogni paziente nella sua unicità e particolarità, nella sua soggettività e individualità, impiegando tutti i collegamenti trasversali per farlo guarire mediante la scoperta e la realizzazione del senso della vita; in secondo luogo esso «si avventura nella dimensione spirituale» dell’uomo, si lascia alle spalle il terreno sicuro dell’ordinabile in sistemi, del catalogabile e di ciò che si può imparare sui libri, rinuncia in parte persino alla tanto desiderata scala programmata di metodi, composta da tecniche psicologiche saldamente ancorate l’una all’altra, per dare ancora spazio alla pura umanità.
Due punti, questi, che apparentemente possono sembrare una cosa da poco, ma che potrebbero costituire la ricetta di base per una psicoterapia del futuro, la quale compia un passo deciso verso il perfezionamento delle possibilità umane in campo terapeutico. Occorre, infatti, creare una base di fiducia tra il terapeuta e il paziente, da cui scaturirà la possibilità di decidere imparzialmente quali atteggiamenti esposti sono malsani per l’igiene mentale, e quindi oppressivi e fonte di infelicità, e quali atteggiamenti possono essere definiti sani per l’igiene mentale.
Ciò, ovviamente, non deve far sorgere il malinteso che il logoterapeuta possa arrogarsi il diritto di giudicare, secondo il suo criterio personale, la bontà e la validità degli atteggiamenti verso la vita. Tuttavia è innegabile che determinati atteggiamenti siano la causa o l’espressione di un’esistenza infelice, di una vita che si autodistrugge.
Quattro sono gli stadi attraverso i quali passare per un impiego corretto della logoterapia.
Il primo consiste nel risvegliare e incentivare la capacità di autodistanziamento: senza l’autodistanziamento non è possibile cambiare in un individuo la coscienza di sé. Chi si ritiene malato «è» malato; a chi ritiene che sia impossibile prestargli aiuto «è» impossibile prestare aiuto; chi si ritiene predestinato dalla sua infanzia «è» predestinato. Finché egli, nella sua coscienza di sé, è strettamente legato ai suoi sintomi, è in balìa di essi. In forza della fiducia che si è guadagnata, il logoterapeuta combatte fermamente contro l’identificazione del paziente con il proprio sintomo. La conseguenza è che il paziente non si attacca alle sue ipotesi malsane, consapevole che più vi si fissa e meno riesce a distanziarsi da esse.
Il secondo stadio consiste nella modulazione dell’atteggiamento, ossia nel trasformare un atteggiamento malsano mediante l’igiene mentale. Per quanto possa apparire ingenuo, questo è precisamente il punto verso il quale il logoterapeuta dirige, nei primi colloqui, l’attenzione del paziente: «Non devi necessariamente…». Non devi necessariamente, anche quando hai commesso venti volte un errore, non devi necessariamente commetterlo anche la ventunesima. Anche se un disturbo si è manifestato finora ogni giorno, non deve necessariamente ripresentarsi oggi.
Il terzo passo consiste nella riduzione dei sintomi e nel rafforzamento del nuovo equilibrio. Condotto con il metodo delle «domande ingenue», il colloquio logoterapeutico può trovare un’argomentazione o un’interpretazione dei fatti che contraddicono l’atteggiamento malsano del paziente, venendo contemporaneamente incontro alle sue tendenze emotive fondamentali. In questo caso, grazie alla sua disponibilità emotiva, il paziente può abbandonare subito, addirittura di colpo, l’atteggiamento malsano. È come una «rivoluzione copernicana» della terapia, che consente di indicare nuovi contenuti, creando i presupposti per un valido orientamento del senso della vita anche in questa fase dell’esistenza.
Il quarto passo consiste nell’allargare le possibilità di senso della vita attraverso la sensibilizzazione nei confronti di nuove forme di senso della vita. Quando la stretta connessione esistente tra il paziente e il sintomo è allentata mediante il distanziamento e si sono ottenuti atteggiamenti nuovi e positivi nei confronti di fattori negativi ritenuti immutabili, la sintomatica si riduce spesso da sola ed è solo necessario rendere visibili quei fattori positivi che potrebbero dare senso all’attuale situazione di vita del paziente.
Da tutto ciò emerge che i singoli passi della terapia frankliana conducono il paziente sempre più lontano dal proprio io e incentivano di conseguenza l’importantissima capacità di «autotrascendenza». Quanto più l’io è strettamente legato alla problematica tanto più prevale l’azione oppressiva dei fattori negativi su quella dei fattori positivi. Se riesce a scorgere dei fattori positivi, se riesce a dimenticare se stesso, può anche… guarire psichicamente.
Eugenio Fizzotti
Approfondimenti
Agire nel mondo ed essere motivato dal mondo. Per una psicoterapia riumanizzata
Viktor E. Frankl
La possibile spersonalizzazione in una relazione terapeutica e la scarica delle responsabilità motivarono Frankl nel 1977, nel corso delle «Salzburger Hochschulwochen», a evidenziare il ruolo innovativo della logoterapia, avvalendosi anche di dati offerti sia da suoi allievi che da ricercatori di diverso orientamento. Con traduzione di Daniele Bruzzone viene qui edita la seconda lezione, pubblicata in Die Sinnfrage in der Psychotherapie (München, Piper 1981, pp. 41-59). Eugenio Fizzotti ha rivisto il testo e ha curato l’aspetto metodologico, completando anche i riferimenti bibliografici, laddove è stato possibile.
L’educazione al senso e il senso dell’educazione. Implicazioni rivoluzionarie di un’intuizione pedagogica
Daniele Bruzzone (Università Cattolica, Milano – Piacenza)
L’importanza pedagogico-educativa della logoterapia costituisce una sfida di ampio respiro. In essa, infatti, sono racchiuse intuizioni rivoluzionarie che favoriscono un’innovazione e una ri-umanizzazione della pratica educativa. Basti pensare all’autotrascendenza, alla responsabilità, alla libertà, alla formazione della coscienza, al dialogo. Una particolare attenzione va anche rivolta alla psicologia dell’altezza con la quale Frankl ha inteso indicare il definitivo superamento di visioni antropologiche riduttive.
Viktor E. Frankl tra Carl G. Jung e Uwe Böschemeyer. Un confronto critico sulla concezione di «spirito»
Grzegorz Wierzba (Psicologo, New York)
L’approfondimento effettuato in studi precedenti (Wierzba 2005a, 2005b, 2005c) permette di evidenziare l’originalità del pensiero di Frankl, rispetto a quella di Carl G. Jung e di Uwe Böschemeyer, a proposito della dimensione spirituale e del suo collegamento con la responsabilità, la libertà e la ricerca di senso. Ancora una volta appare evidente la prospettiva di apertura metodologica e di ampio respiro filosofico della logoterapia e il suo deciso distanziamento da orizzonti riduttivistici.
Orientare alla scuola e al lavoro. Il contributo della logoterapia
Angelo Gismondi (Psicologo, psicoterapeuta e orientatore, Roma)
È attuale la figura dell’orientatore che, aiutando la persona a cogliere il vero significato di un progetto di vita che includa il lavoro come occasione di maturazione umana nella ricerca di senso, percepisce l’autentico valore della propria professione. Svolgendo tale servizio nel rispetto della propria essenziale autotrascendenza, egli ricaverà, come effetto collaterale, un intimo appagamento. Di conseguenza è quanto mai vero che orientando si fa logoterapia e si orienta attraverso la logoterapia.
Il dialogo socratico. Origine e sviluppi di una fonte ispiratrice del metodo logoterapeutico
Maurizio Marin (Filosofo, Università Salesiana, Roma)
Vissuto ad Atene (469-399 a.C.) e contemporaneo di grandi personaggi come il politico Pericle, lo scultore Fidia, il tragediografo Fidia, lo storico Tucidide, Socrate ebbe molti discepoli che continuarono il suo modo di dialogare, che non dava spazio agli eruditi o agli abili parlatori, ma spingeva a prendere posizione sui valori fondamentali come la giustizia, la verità, il bene, la felicità e l’insegnabilità delle virtù nell’educazione dei giovani. Fu condannato a morte con l’accusa di corruzione dei giovani e di empietà, in realtà perché troppo scomodo ai democratici che volevano cancellare tutte le conquiste sociali di Pericle.
Orizzonti esistenziali e relazionali del divenire della maturità
Eugenio Fizzotti (Università Salesiana, Roma)
Gli attuali orientamenti psicologici di natura umanistica ed esistenziale, tra cui emerge sempre più la logoterapia di Viktor E. Frankl, sottolineano che le persone divengono, più che sono. I singoli individui, infatti, sono molto di più che un insieme di abitudini, molto di più che un punto di intersezione di dimensioni astratte o socio-economiche, molto di più che rappresentanti o esemplari della propria specie, molto di più che cittadini di uno stato, molto di più che semplici incidenti nei percorsi evolutivi dell’umanità.
L’aiuto della psicologia al vescovo martire. Stati depressivi e terapia nella vita di Mons. Oscar Romero
Roberto Morozzo della Rocca (Docente di Storia contemporanea, Università Roma Tre)
Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador dal 23 febbraio 1977, venne ucciso da un sicario il 24 marzo 1980 mentre celebrava l’eucaristia. Le inchieste indipendenti stabilirono che a decidere la sua uccisione erano stati i componenti dell’oligarchia militare ed economica salvadoregna, ferocemente contrari all’impegno di Romero a favore dei poveri e del rispetto dei diritti umani. Di mons. Romero è in corso la causa di beatificazione. Dalla recente biografia di Morozzo della Rocca (Primero Dios, Milano, Mondadori, 2005, pp. 448) si ricavano anche alcuni aspetti particolari del rapporto di Romero con la psicologia e la psicoanalisi con prevedibili risvolti non sempre costruttivi. Riproponiamo qui alcune pagine per gentile concessione dell’autore.
Ascoltare i propri figli. Un’esperienza di training rivolta alle coppie di genitori/4- Settimo e ottavo incontro: Ascolto come rispecchiamento e costruzione del Sé
Domenico Bellantoni (Psicologo e psicoterapeuta, Napoli)
Secondo una «leggenda metropolitana» le scuole genitori orientate all’acquisizione di competenze educative soano un’invenzione degli psicologi degli ultimi anni. Frankl, a conferma della vocazione profetica dei grandi pensatori, già nel 1926 sottolinea che dare semplicemente «ascolto» ai giovani ha una valenza terapeutica e preventiva nei confronti di un disagio giovanile profondo e diffuso (2000, pp. 30-31). In realtà, l’ascolto come accoglienza e comprensione dell’altro ha una funzione e un’efficacia fondamentale verso la consapevolezza e la costruzione di un Sé efficace.
Qualità di vita e cambiamenti dell’immagine corporea. La valutazione psicologica del paziente dismorfico dento-maxillo-facciale
Luciano Pastore (Psicologo e Psicoterapeuta, Responsabile U.O. di Psicosomatica ASL Roma E)
La presenza di malformazioni del viso sembra comportare conseguenze negative sull’autostima, sulla capacità di instaurare rapporti sociali soddisfacenti, sulla salute psicologica della persona e sulle dinamiche del sistema familiare. Un programma di intervento integrato, con il concorso di medici, psicologi e infermieri, è finalizzato a conoscere la personalità del paziente, a prevederne le reazioni a una modifica dell’aspetto fisico, ad accertare la presenza delle risorse psicologiche necessarie per affrontare l’iter chirurgico, a valutare l’opportunità di un sostegno psicologico prima, durante e dopo l’operazione chirurgica.