Ricerca di senso 2009-2

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Editoriale

Pur ricollegandosi ad alcune fondamentali prospettive delle filosofie dell’esistenza, la logoterapia e analisi esistenziale appare essenzialmente orientata alla ricerca clinica e all’indagine psicoterapeutica. Ne sono autorevole testimonianza alcuni saggi di Viktor E. Frankl che, raccolti nel volume, fresco di stampa, dal titolo Si può insegnare e imparare la psicoterapia? (Editrice Magi, Roma, 2009, pp. 116), evidenziano la sistematica attenzione che egli ha sempre avuto per l’ambito prettamente clinico, pur nella consapevolezza che un ottimale funzionamento psicoterapeutico richiede una robusta base antropologica.
Il primo ambito nel quale la logoterapia e analisi esistenziale frankliana trova applicazione è quello che concerne, e delimita, la frustrazione esistenziale, il senso di assurdità e di insignificanza in cui piomba l’uomo che talvolta ricorre al suicidio, all’aggressività e, nel migliore dei casi, all’edonismo più sfrenato per procurarsi uno stordimento che lo rende inetto e incapace di assumersi responsabilità. Ne consegue che, se da una parte è consentito cogliere la radicalità con cui la questione del significato della vita investe l’essere umano, dall’altra la rinuncia a rivestire di significato la propria esistenza o l’incapacità sofferta di realizzare dei valori possono condurre alla disperazione che può sfociare nell’esperienza nevrotica. In questo senso, Frankl sostiene che nella genesi di alcune nevrosi, che ha definito come noogene, si riscontrano motivazioni antropologiche radicate in situazioni esistenziali che si rivelano ancorate alla perdita di significato nei valori della vita. In altri termini, l’essenza umana di talune esperienze nevrotiche è costituita dalla crisi esistenziale, connessa con la perdita o lo smarrimento di valori, ritenuti significativi per la propria sussistenza. Ciò non significa, ovviamente, che la crisi esistenziale, connessa alla perdita del senso della vita, conduca necessariamente alla nevrosi. Ma soltanto che l’esperienza nevrotica può insorgere perché è fallita, in qualche modo, l’aspirazione a conferire un significato all’esistenza, in modo da renderla degna di essere vissuta. Una seconda sfera di applicazione riguarda le nevrosi in senso stretto, cioè psicogene, e non noogene, affrontate con le tecniche della dereflessione e dell’intenzione paradossa. Attaccando con la dereflessione l’iper-coscienziosità e l’iper-consapevolezza, il paziente è invitato a distogliere l’attenzione dal sintomo attorno al quale si concentra, evitando così l’auto-osservazione coatta. Positive e, ampiamente riconosciute, valide applicazioni della dereflessione si hanno in casi di insonnia, di scrupolosità, di pedanteria, e soprattutto in casi di nevrosi sessuali, nelle quali l’intenzione forzata di raggiungere il piacere e la soddisfazione sessuale si accompagnano a una riflessione forzata sull’atto sessuale, per cui la soverchia intenzione provoca disturbi funzionali, quali l’impotenza e la frigidità. L’intenzione paradossa, da parte sua, attacca le reazioni ansiose, coatte e fobiche. Spingendo e guidando il paziente a sforzarsi di desiderare proprio ciò che egli teme e che gli si para davanti come uno spettro angosciante e paralizzante, gli si consentirà di guardare in faccia l’ansia. Anzi, lo si porrà in grado di riderne. In tale contesto, l’ansietà indica essenzialmente l’inquietudine di un’esistenza immersa nell’oblìo del compito unico e irripetibile al quale è chiamata e attesta, in ogni caso, l’evasione e la fuga dal proprio originario poter-essere. È chiaro, allora, che il paziente va aiutato a scorgere, e ad assumere, le proprie possibilità di significato in modo da rendere la sua esistenza quanto più possibile ricca di valore. Viene, in tal modo, riaffermata e riconosciuta la radicalità con cui la questione del senso investe l’esistenza umana con la conseguente esigenza di orientare l’intenzionalità del paziente verso un orizzonte di valori, i soli adeguati a colmare il vuoto esistenziale del suo intimo che costituisce, in ultima analisi, il motivo reale da cui si originano l’ansia e la paura nevrotica.
Un terzo ambito di applicazione sorge allorché la possibilità e i valori perduti non sono più umanamente recuperabili o sostituibili, quando la solitudine costringe un essere umano a richiudersi nel «deserto» della sua esistenza, quando il destino impone una sofferenza ineluttabile. Trovandosi di fronte a situazioni inevitabili nella loro irreversibilità che non è possibile contrastare in alcun modo, l’intervento si risolve nella «cura medica dell’anima», nettamente distinta dalla cura sacerdotale dell’anima. Si tratta, in ogni caso, di situazioni-limite che trascendono ogni umana possibilità e, nella loro irrevocabilità, devono essere semplicemente assunte e vissute nel loro autentico significato. L’uomo non può rifugiarsi in un atteggiamento di indifferenza che sta a testimoniare una fuga e un tentativo di livellare eventi incisivi.
Un quarto campo di applicazione viene individuato al di là del puro trattamento clinico (sia pure di malattie inguaribili), nei casi cioè in cui l’esperienza del vuoto esistenziale induce l’uomo a fuggire da se stesso e lo orienta a rifugiarsi in una vita esteriorizzata, contrassegnata come tale dalla banalità quotidiana. È chiaro che la fuga da sé risulta, essenzialmente, espressione della paura di essere costretto a incontrare, e a riconoscere, la propria fondamentale inconsistenza. Scaturisce così la fuga nell’esistenza anonima e il vuoto esistenziale che ne consegue può costituire la premessa antropologica decisiva del naufragio nell’esperienza nevrotica che, in questo caso, insorge dalla disperazione che si origina a causa del fallimento assoluto di ogni sforzo inteso a realizzare i valori di significato spirituale.
Un ultimo campo di applicazione, al di là delle nevrosi noogene, psicogene, somatogene o sociogene, si pone nella prospettiva delle nevrosi iatrogene, che insorgono allorché il terapeuta si rende corresponsabile dell’intensificarsi della frustrazione esistenziale, presentando modelli di vita sub-umana. Un tale atteggiamento, lo voglia o no, riduce la psicoterapia a essere un indottrinamento vero e proprio, e per di più riduzionistico.
Poiché i testi raccolti nel volume Si può insegnare e imparare la psicoterapia? testimoniano che la logoterapia e analisi esistenziale va improvvisata giorno per giorno, momento per momento, in funzione della situazione esistenziale del singolo individuo, nell’attenzione alla sua irripetibilità e alla sua originarietà, ne deriva che sfugge, nella maniera più assoluta, a qualsiasi cosificazione in formule rigide e standardizzate e questo grazie all’accettazione umile e radicale dell’originaria finitezza dell’esistenza umana. L’umiltà ontologica è, a questo punto, il solo atteggiamento interiore capace di salvare l’uomo dalla disperazione, riconducendolo a un’esistenza per quanto possibile significativa e aiutandolo a scorgere quelle possibilità di valore con le quali riscoprire il senso incorruttibile e assoluto della sua vita, sempre e in qualsiasi condizione essa venga vissuta.
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