Ricerca di senso 2014-3

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Editoriale

In questo editoriale vogliamo evidenziare per i lettori due eventi significativi. Il primo di valenza sicuramente più generale, il secondo che investe ALÆF più direttamente.
Innanzitutto ci riferiamo alla pubblicazione della quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), che — sebbene non esente da critiche e valutazioni assai variegate — rappresenta un punto di riferimento per chi opera nell’ambito della salute mentale e del benessere psicologico.
In particolare, vogliamo evidenziare come — probabilmente per la prima volta nell’ambito dell’APA — si sia data particolare e specifica attenzione, non sappiamo quanto consapevolmente, a temi e atteggiamenti propri di un approccio più esistenziale, visione che, anche nell’ambito della psicologia e della psicoterapia, acquista sempre più valore e seguito.
A questo riguardo, assume un significato di estrema attualità l’inaugurazione, da parte di ALÆF e a partire dal 2015, della Scuola di Counseling Esistenziale Frankliano, con l’obiettivo di una specifica formazione al ruolo, appunto, di counselor in un’ottica eminentemente fenomenologico-esistenziale e nella valorizzazione, in particolare, delle intuizioni di Viktor Frankl. Le sedi previste per l’inizio dei corsi sono, in teoria, Napoli, Piacenza e Roma, anche se, in realtà, si partirà solo al raggiungimento di un numero congruo di iscrizioni. Sicuramente si partirà a Roma, probabilmente anche a Piacenza e, in prospettiva, seguirà Napoli (Pozzuoli).
Alla luce di queste due brevi considerazioni, è bene chiarire cosa caratterizzi, in ultima analisi, un approccio psicologico e psicopedagogico di tipo fenomenologico-esistenziale, anche in considerazione del fatto che, spesso, tale peculiarità piuttosto che a una metodologia viene ricondotta a contenuti e argomenti specifici, quali ad esempio la morte, il senso di colpa, la sofferenza, la malattia, ecc.
In effetti, nonostante tale accezione compaia non di rado in questo o quel contributo o in questo o quell’autore, essa risulta assolutamente inesatta. In realtà, è alla luce di un proprio personale approccio che gli indirizzi esistenziali di psicologia si ritrovano a poter essere considerati quasi elettivi di tali temi riguardanti le «situazioni limite», ma questi ultimi non esauriscono assolutamente l’oggetto d’interesse di tali orientamenti.
Innanzitutto, ciò che caratterizza tali approcci, tra cui spicca anche quello analitico-esistenziale frankliano, è il riferimento e la valorizzazione in chiave psicologica e pedagogico-educativa del pensiero di alcuni filosofi, appunto esistenzialisti, quali, ad esempio, Jaspers, Heidegger, Sartre, Kierkegaard — oltre ad altri, come Binswanger e Boss, che si muovono più sul confine tra filosofia e psichiatria — e in particolare della loro antropologia di fondo.
Da ciò deriva una visione specifica dell’uomo e delle sue relazioni con se stesso, con gli altri e con il mondo (si pensi ai concetti di Selbstwelt, Mitwelt, Umwelt).
Innanzitutto, viene evidenziata la centralità della relazione, per cui la persona non è mai presa come individualità a sé stante, bensì sempre come inter-soggettività, condizione esistenziale imprescindibile. Infatti, l’uomo, ogni uomo, non esiste mai senza l’altro, senza gli altri. In tal senso, anche ogni relazione, compresa quella terapeutica e educativa, va sempre considerata come un «mondo» che si crea nuovo nell’inter-azione tra i soggetti coinvolti: l’Io non esiste che a partire dal Tu e viceversa (Buber).
Questa relazionalità non si limita solo all’altro, ma si estende al mondo delle relazioni e dei contesti, delle culture e delle esperienze. Ciò implica una potenziale differenziazione e diversità, per cui noi stessi non siamo mai gli stessi, ma sempre e dinamicamente unici e irripetibili, così come gli eventi che viviamo. In positivo, ciò rappresenta un’immensa ricchezza, ma, d’altra parte, questo stesso elemento, ponendosi come possibilità e aspettativa, implicherà necessariamente anche un saper accettare una visione dell’esistenza caratterizzata da incertezza, rischio ed eventuale, conseguente delusione.
Il rifiuto di tale elemento esistenziale, considerato con profondità dagli autori sopracitati come caratteristico di certa cultura contemporanea, scientista e edonista, apre anche alla non accettazione di un tratto che, lungi dall’essere patologico, è invece un esistenziale irrinunciabile: l’ansia e l’angoscia come elemento caratterizzante la stessa condizione umana e legata alla stessa libertà e, quindi, fallibilità dell’uomo.
In tale visione, come detto, precipuamente esistenzialista, l’ansia non è necessariamente una realtà clinica, negativa e patologica. Al contrario, l’imparare a conviverci permette di essere liberi per portare avanti il proprio compito esistenziale. Del resto, la stessa maturità psicologica comporta un passaggio dalla sicurezza del contesto infantile all’insicurezza dell’esplorazione adulta dell’esistenza, nella sua varietà e possibilità di concretizzazioni.
Ecco che, allora, paradossalmente l’ansia diviene indice di uno stare per le strade del mondo, esploratori dell’esistenza — o, meglio, delle possibili esistenze —, quali autentici ricercatori di senso.

Domenico Bellantoni